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La memoria non si ferma: diari dei pellegrinaggi

Resoconto di viaggio ai campi di concentramento di Gusen, Hartheim, Mauthausen e Steyr.

Data:

Terminato

Tempo di lettura:

7 min

foto pellegrinaggi campi di concentramento

Cos'è

In occasione dei pellegrinaggi ai campi di sterminio nazisti organizzati dalla sezione di Sesto dell’Aned e dall’associazione Ventimila Leghe, sono stati realizzati alcuni video concepiti per fornire dei cenni storici sui siti e nello stesso tempo documentare le visite, cui partecipavano ogni anno anche delegazioni di studenti.

Qui si presentano i video relativi ai campi di Hartheim,  Steyr, Gusen e Mauthausen.

📽 Il pellegrinaggio a Hartheim

Cenni storici a cura di Mari Pagani; testimonianza di Milena Bracesco, figlia di Enrico, deportato e deceduto ad Hartheim.
Hartheim
A partire dal 1938, il castello di Hartheim, grazie alla sua posizione isolata, vicino alla linea ferroviaria e non lontano dal lager di Mauthausen, fu scelto dai nazisti come una delle sei sedi dove dal 1940 fu perpetrato il programma nazista di “eutanasia” Aktion T4. Qui vennero soppresse decine di migliaia di persone affette da malformazioni, handicap fisici e psichiatrici o da malattie genetiche inguaribili, le cosiddette “vite indegne di essere vissute”. Tra il maggio del 1940 e il settembre del 1941 nel solo castello di Hartheim, definito allora anche come “scuola di assassinio”, vennero uccise 18.269 persone, principalmente in camera a gas. In seguito divenne parte dell’Aktion 14f13, un programma del Terzo Reich per l’eliminazione dei prigionieri provenienti dai vicini campi di concentramento e dichiarati inadatti o non più idonei al duro lavoro dei campi: ammalati, feriti o anziani; ma non solo: vennero dichiarati malati anche gli oppositori politici, i comunisti e i “fanatici polacchi”. Durante il programma ad Hartheim vennero assassinati circa 12.000 prigionieri, provenienti dai campi di Mauthausen, Gusen, Dachau, Ravensbrück e da altre località. Tra il 1940 e il 1944 vennero assassinate complessivamente ad Hartheim circa 30.000 persone, di questi oltre 300 furono gli italiani. Dal novembre 1944 cominciò lo smantellamento degli impianti di sterminio presenti nel castello, vennero distrutte la camera a gas, le attrezzature del crematorio e ogni altra testimonianza che potesse rivelare le atrocità commesse.

📽 Il pellegrinaggio a Steyr

Cenni storici e testimonianza a cura di Giuseppe Valota, figlio di Guido, deportato a Mauthausen e deceduto nei pressi di Steyr.
Steyr-Münichholz
Il campo di concentramento di Steyr-Münichholz è stato il primo sottocampo del campo di concentramento di Mauthausen a essere stato costruito, nel 1942, in Alta Austria. Gli internati vi erano inviati dal campo principale per lavorare alla produzione di armi e per costruire bunker antiaerei. La maggior parte dei prigionieri che hanno lavorato a Steyr erano originari della Spagna, della Francia, della Polonia, dell’Italia, della Grecia, dell’Unione sovietica e della Cecoslovacchia. Il numero totale di lavoratori variava tra i mille e i duemila, fino a oltre tremila nell’aprile del ’45.
Molti internati, analogamente a quelli di altri campi di concentramento nazisti, vi morirono a causa della malnutrizione, a causa dei ritmi di lavoro incessanti nonostante le avverse condizioni meteorologiche, e a causa di un abbigliamento inadeguato e della mancanza di cure sanitarie. I prigionieri che si ammalavano erano riportati normalmente a Mauthausen per esservi uccisi. Il sottocampo venne liberato dalle truppe statunitensi il 5 maggio 1945. Nel 1948 vennero tumulate le ceneri dei prigionieri del campo di concentramento nel locale cimitero di Steyr e venne posta a perenne ricordo una lapide con l’iscrizione “Nie vergessen”, “Mai dimenticare”. Le ultime baracche rimaste furono demolite nel 1993, prima che fosse possibile la costruzione di un memoriale. Dal 2013 è stata aperta una mostra permanente dal titolo Stollen der Erinnerung, “Gallerie della memoria”.

📽 Il pellegrinaggio a Gusen

Cenni storici a cura di Monica Credi; testimonianza di Ionne Biffi, figlia di Angelo, deportato e deceduto a Gusen.
Gusen
Il campo di concentramento di Gusen, soprannominato “il cimitero degli italiani”, è stato un lager della Germania nazistacomposto da tre dei quarantanove sottocampi del campo principale di Mauthausen. I tre campi di concentramento erano situati nei pressi delle piccole cittadine di Langenstein e Sankt Georgen an der Gusen. I tre sottocampi hanno costituito una realtà a sé per quantità di deportati e durezza nelle condizioni sia di prigionia che di lavoro. Uno degli obiettivi economici era costituito dallo sfruttamento delle vicine cave di granito. Il campo fu istituito nel 1940; fin dall’inizio il lavoro costituì uno dei mezzi di eliminazione dei prigionieri, in prevalenza polacchi, fra cui molti religiosi, e repubblicani spagnoli deportati dalla Francia. Nel 1941 vi fu installato il forno crematorio e si avviarono le eliminazioni sistematiche di malati, inabili, portatori sospetti di malattie contagiose, sia al castello di Hartheim sia nel campo stesso. Nell’arco di tre anni il campo diventa addirittura più affollato del campo principale di Mauthausen, con l’arrivo di deportati sovietici, jugoslavi, francesi, italiani, dall’agosto 1943, e l’apertura di nuove produzioni belliche. Si calcola che tra morti dovuti alle condizioni di vita e di eliminazioni di massa vi trovarono la morte circa 33.000 prigionieri, tra cui 98 cittadini dell’area industriale sestese.
Alla fine degli anni ‘50 il terreno su cui sorgeva il campo fu lottizzato a scopo residenziale e le sue tracce cancellate. L’associazione dei superstiti ha acquistato un lotto di terreno e vi ha eretto una struttura commemorativa, opera dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso (autore anche del monumento alla Deportazione eretto al Parco Nord), che fu egli stesso prigioniero a Gusen I. Dal 1999 la Città di Sesto ha stretto un patto di amicizia con la città di Langenstein e ha realizzato un’audioguida per la visita al memoriale.

📽 Il pellegrinaggio a Mauthausen

Cenni storici a cura di Alessandro Padovani; Francesca Contini legge la testimonianza di Raffaella Lorenzi, figlia di Cesare, deportato e deceduto a Mauthausen.
Mauthausen
Era detto il “campo madre” di un gruppo di quarantanove cosiddetti “sottocampi” satelliti, sparsi in tutta l’Austria. Considerato impropriamente come semplice campo di lavoro, fu di fatto, fra tutti i campi nazisti, «il solo campo di concentramento classificato di “classe 3” (come campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro)». Vi si attuò lo sterminio soprattutto attraverso il lavoro forzato nella vicina cava di granito, e la consunzione per denutrizione e stenti, pur essendo presenti anche alcune camere a gas. Mauthausen funzionò come “fabbrica della morte”, con lo sterminio programmato dei prigionieri che portò in pochi anni a una cifra accertata di circa 128.000 vittime, compresi i sottocampi. Il solo campo principale ospitò circa 190.000 deportati, circa 90.000 dei quali non sopravvissero. Doveva esser fatto continuamente posto per i continui numerosi arrivi di altri condannati a morte, cosicché ai deportato non era concesso vivere oltre il limite massimo stabilito di 2-3 mesi. Vi erano internati antinazisti, intellettuali, asociali, oppositori politici, testimoni di Geova, ebrei, rom, omosessuali, “vite indegne”, ovvero disabili, che furono assassinati nel Castello di Hartheim, criminali comuni, “irriducibili”, persone di tutte le classi sociali provenienti da tutti i paesi occupati dalla Germania nazista. Il campo di Mauthausen fu l’ultimo liberato dagli Alleati, il 6 maggio del ’45. I nazisti cercarono di distruggere ogni prova dell’esistenza del campo e di sterminare tutti i prigionieri ancora in vita. Lo sterminio proseguì fino al momento della liberazione, anche dopo la morte di Hitler, e migliaia di prigionieri morirono dopo la liberazione per le conseguenze della detenzione.
Il 16 maggio 1945 i prigionieri liberati formularono il cosiddetto giuramento di Mauthausen, un auspicio per la pace e la libertà, la solidarietà e la collaborazione tra i popoli, la giustizia sociale.

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Ultimo aggiornamento

03/02/2021