Cos'è
Ultimo evento della rassegna “La memoria non è un gioco” con la presentazione del libro “Se tutti vanno via” di Giuseppe Vetri, ne parleremo con il professor Giuseppe Vetri collegato online da Palermo, Stefania Cavasassi vicepresidente ANPI e Laura Tagliabue ricercatrice ANED.
👉🏻L’incontro è giovedì 15 febbraio 2024 alle 20.00 alla Casa delle Associazioni in piazza Oldrini.
📖Libro
“Se tutti vanno via non rimane più nessuno a portare avanti la battaglia contro il fascismo“.
Con queste parole Dimitri, il figlio di Liborio Baldanza, commenta la decisione del padre di non fuggire dal balcone di casa la notte tra il 13 e il 14 marzo 1944, quando quattro fascisti, con la polizia che aspettava in strada, andarono ad arrestarlo nella qualità di operaio della Breda di Sesto San Giovanni accusato di “Organizzazione e istigazione allo sciopero; atti di sabotaggio contro la Repubblica Sociale Italiana mediante interruzione della produzione”.
Decisione presa per non lasciare la moglie e il bambino nelle mani dei militi neri e poi in quelle dei tedeschi.
Da quel momento il calvario di Libero (questo il suo nome di militante antifascista clandestino) non fu altro che lavori forzati per le SS nel campo di concentramento nazista di Mauthausen finalizzati alla sua soppressione fisica, nell’ambito del programma di “Eliminazione del Cancro della Lombardia”.
Morì nei pressi di Shwarzenbach il 3 aprile 1945 il terzo giorno della Marcia della Morte per il trasferimento in fuga forzata dalle SS da Hinterbruhl/Modling a Mauthausen.
👨🏻Liborio Baldanza 1899 – 1945
Liborio Baldanza nasce in provincia di Palermo il 2 agosto 1899. A 16 anni inizia a lavorare presso i Cantieri Navali Riuniti di Palermo e frequenta le “Scuole tecniche serali” del Comune, ma dopo il primo anno deve abbandonare gli studi a causa della chiamata al servizio militare. Dopo il congedo lascia la famiglia e la Sicilia, si trasferisce a Milano e trova lavoro rapidamente. Fino al 1925 lavora per diverse aziende milanesi, Ravarini & Castoldi, Moto Garelli, l’industria di velocipedi Carlo Borghi, pochi mesi alla Magneti Marelli e alle Acciaierie e Ferriere Lombarde di Sesto san Giovanni. Nel maggio 1925 viene assunto alla Ercole Marelli a Sesto san Giovanni, in quel periodo inizia la sua lotta antifascista e insieme ad amici e compagni di lavoro che condividono i suoi ideali di libertà e la sua fede socialista boicotta il regime, partecipa a riunioni clandestine, organizza azioni di sabotaggio.
Intanto alla Ercole Marelli incontra una bella segretaria valdostana dal forte temperamento, Anna Perret che, come lui, non tollera la repressione e si adopera per boicottarla. Si innamorano, nel maggio 1929 si sposano e, a causa dei numerosi arresti di Libero, avranno un bambino, Dimitri, solo sette anni più tardi.
Negli anni ’30 e ’40 infatti, viene più volte arrestato dalla Polizia fascista. L’arresto del 1931 gli costa il posto di lavoro. Viene più volte sottoposto al giudizio del Tribunale Speciale e sconta alcuni anni di confino in Francia e in Svizzera. Nel 1935 viene assunto alla Breda. Nel marzo 1943 partecipa al primo grande sciopero nelle fabbriche sestesi, che nei giorni successivi si allarga anche agli stabilimenti di Milano e della Brianza.
Ma è dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943 che la lotta antifascista diventa lotta partigiana contro il nazifascismo e nelle fabbriche del nord Italia lo scontro con la dittatura si fa ancora più duro.
Liborio è tra gli organizzatori dello sciopero del marzo 1944 che dura ben otto giorni alla fine dei quali ci saranno l’arresto e la deportazione di centinaia di lavoratori. Viene arrestato in casa la notte del 13 marzo, sotto gli occhi della moglie e del figlio di otto anni e portato in Questura a Milano, poi trasferito alla caserma di Bergamo. Il 17 marzo è sul trasporto per il lager di Mauthausen, dove arriva tre giorni dopo. Durante il periodo di deportazione viene trasferito in altri lager, Gusen, Schwechat, Hinterbhrùl.
Muore di fame, di fatica e di botte, il 3 aprile 1945 durante una “marcia della morte”tra Hinterbrul e Mauthausen, dove la colonna di deportati era diretta a piedi affinché tutti i prigionieri venissero eliminati nei forni crematori, per non lasciare testimonianze agli alleati che stavano arrivando.
Nel 1974 il Comune di Sesto San Giovanni gli conferisce la medaglia d’oro ”per l’impegnata estrema difesa della libertà sostenuta sino al sublime olocausto della vita”.
Redatta dal figlio Dimitri Baldanza
Vi aspettiamo!
L’evento è in collaborazione con la sezione ANPI e ANED di Sesto San Giovanni