Fiabe musicali, giochi d’ascolto, esecuzioni e conferenze: parte la tre giorni musicale “Le strade della musica” organizzata in collaborazione con l’associazione PalinSesto. Dal 4 al 6 ottobre in calendario tanti appuntamenti per soffermarsi da una parte sulla concretezza fisica dei luoghi in cui la musica prende corpo sonoro e i condizionamenti che questi le impongono; dall’altra parleremo degli inferni da cui la musica fugge, dei purgatori in cui accetta di scendere a compromessi e dei paradisi verso cui tende nell’ansia ideale di essere qualcosa di più di un puro capriccio per l’orecchio
“Il titolo che abbiamo scelto per la nostra rassegna di incontri di quest’autunno – spiega l’Associazione Palinsesto – va inteso tanto in senso letterale quanto in senso metaforico. Sono infatti due i nodi significativi su cui intendiamo soffermarci, nel tentativo di entrare in relazione viva con i pensieri, le emozioni e i desideri di conoscenza e di riflessione di chi vorrà partecipare ai nostri appuntamenti. Da una parte considereremo la concretezza fisica dei luoghi chiusi o aperti in cui la musica prende corpo sonoro e i condizionamenti che tali luoghi fatalmente le impongono a danno o ad esaltazione del suo fugace apparire; dall’altra parleremo degli inferni da cui essa fugge, dei purgatori in cui accetta di scendere a compromessi e dei paradisi verso cui tende nell’ansia ideale di essere qualcosa di più di un puro trastullo per l’orecchio.
Arte inafferrabile per eccellenza, la musica, in forza della sua più intima natura situata in perfetto equilibrio fra le dimensioni dell’Angelico e del Diabolico, del Trascendente e dell’Immanente, in virtù del suo innato legame di sangue con il misterioso e inarrestabile vettore del Tempo, parrebbe del tutto estranea alle miserie umane del “dove”, parrebbe non toccata dalle angustie del doversi adattare al carattere spesso inospitale degli angoli di mondo in cui ci è dato farci recettori del nostro destino: chi crogiolandosi ben pasciuto nel proprio egoismo, chi cavandosela alla bell’e meglio e tirando a campare, chi ammazzandosi di fatica per un minimo di benessere, chi arrancando nell’indigenza o magari non aspettando altro che una liberatoria uscita di scena.Il “dove” della musica offre di tutto: le star del rap o del belcanto operistico con le loro moltitudini di fans e i loro incassi favolosi, la noia dell’orchestrale che, dopo anni di conservatorio, trascorre ore nel “golfo mistico” in attesa di un autoritario invito, quello di un divo della bacchetta che esige fraseggi di proprio gusto all’interno di sinfonie di cui egli, il subordinato col suo basso tuba, ben poco sa, l’entusiasmo del bandista dilettante e del corista amatoriale che scoprono il piacere del “far musica assieme” e si fanno fecondare dall’incanto delle magie sonore di una seducente progressione armonica, di un crescendo, di un ritmo conturbante; e, infine, gli aggiustamenti melodici di un ever green classico, etnico o canzonettistico riprodotto a orecchio dal violinista questuante venuto-dio-solo-sa-da-dove impegnato a passare da un convoglio di metropolitana all’altro per rimediare una cena in un fast food.
Insomma, neppure all’Arte dei Suoni, il più ineffabile ed arcano dei codici della comunicazione umana, sarà mai concesso il privilegio di potersi porre a distanza di sicurezza dal duro “mestiere di vivere”, né più né meno di quanto accade a tutto ciò che l’uomo crea e utilizza per gli scopi più disparati, nobili o ignobili che siano. Non è forse vero, del resto, che un languido motivetto eseguito all’aria aperta potrebbe corrispondere al volto sonoro di una certa situazione così come all’espressione del suo esatto contrario? “Languido motivetto” potrebbe essere la piacevole melodia di una serenata offerta ad una bella fanciulla affacciata alla finestra, ma potrebbe anche essere l’allucinata sostanza musicale del sadico atto di ubbidienza estorto sotto minaccia di morte ad un gruppo di ex filarmonici comandati di accompagnare verso le camere a gas altri sventurati come loro rinchiusi in un campo di sterminio. A fare la differenza fra l’uno e l’altro “languido motivetto” non sarebbe che il contesto dell’una e dell’altra performance, lo spazio fisico del loro diffondersi sotto un cielo ora vibrante di gioiosa speranza, ora attanagliato e opacizzato dalla disperazione”.